Banca del Territorio: la fine di un modello di business ? - FinancialInnovation.it
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Banca del Territorio: la fine di un modello di business ?


Con il commissariamento della Banca Popolare di Bari il modello di banca del territorio ha subito un altro duro colpo. C'è ancora valore e spazio per questo modello di business nel sistema bancario? Che ruolo potrebbe avere l’innovazione?

Il commissariamento della Banca Popolare di Bari aggiunge un ulteriore tassello alle crisi di quelle banche che in qualche modo erano considerate punto di riferimento di un territorio (Popolare dell’Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Chieti, Cassa di risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Rimini, Popolare di Vicenza,  Veneto Banca,  Cassa di Risparmio di San Miniato, Banca Carige).

Parliamo di Casse di Risparmio e Banche Popolari alcune delle quali avevano raggiunto negli anni anche dimensioni medie. Come la Banca Popolare di Bari, fondata nel 1960 ma cresciuta fino a diventare il più grande gruppo bancario del Mezzogiorno anche attraverso “pericolose” acquisizioni (Banca Tercas).

Un evento che ha fatto ripiombare il sistema bancario in una nuova crisi reputazionale scatenando un nuovo e duro dibattito mediatico, anche con una forte connotazione politica, sulle responsabilità, sull’efficacia dei sistemi di controllo e sulla effettiva protezione dei risparmiatori/investitori.

In questo articolo non vogliamo entrare nel merito di questo dibattito, non essendo in linea con gli obiettivi del nostro portale, ma vogliamo invece riproporre una domanda strategica che avevamo già posto alcuni anni fa: “Il modello di business delle banche locali è in crisi oppure è ancora sostenibile?”

Il tema del ruolo e del futuro della banca del territorio era stato già affrontato in uno speciale di FinancialInnovation.it del 2015 con un’intervista  a Sergio Spaccavento – Presidente AIFIn – The Financial Innovation Think Tank  e CEO di MarketLab – Financial Marketing e Research relativa ai risultati dell’Osservatorio “Banche territoriali”.

 

Banca del Territorio: definizione e crisi di un modello

Nell’intervista innanzitutto si partiva da una definizione di “Banca del Territorio”: “Il concetto di banca territoriale e più precisamente di banca locale è stato spesso associato, in letteratura, ad un intermediario di ridotte dimensioni e a determinate forme giuridiche, quali ad esempio il credito cooperativo e le popolari. Un’altra caratteristica che ha contraddistinto questa tipologia di banche è il modello di business focalizzato sul relationship lending e su un processo di finanziamento alle piccole imprese e famiglie in cui le soft information hanno avuto un valore preminente nelle logiche di affidamento, proprio in relazione alla vicinanza e alla conoscenza del tessuto imprenditoriale e sociale del territorio da parte della banca. Anche il concetto stesso di “territorio” è frequentemente associato, nel sistema bancario, ad un “presidio” dello stesso basato principalmente sul numero e posizionamento delle filiali, che per le banche locali evidentemente dovrebbe avere una dimensione circoscritta.”

Tuttavia, come era già emerso nell’Osservatorio, il contesto ambientale in cui le banche del territorio, con una storia in alcuni casi secolare, stavano “navigando” era decisamente cambiato. 

Innanzitutto l’intero settore stava (e sta ancora) affrontando una profonda crisi e trasformazione che imponeva un cambiamento nel modello di business. Le cause? Per molti analisti: i bassi tassi di interesse, che hanno ridotto la principale fonte di ricavo delle banche commerciali, non compensata tuttavia da un adeguato sviluppo delle commissioni da servizi; la contestuale forte crescita delle sofferenze (NPL); la dimensione e la struttura dei costi operativi ed in particolare di quelli distributivi legati alla rete di filiali; il contesto macroeconomico e alcune debolezze/limiti del nostro sistema produttivo ed imprenditoriale; la trasformazione digitale e l'ingresso nel mercato bancario di nuovi attori che hanno innalzato il livello della concorrenza.

Nell’Osservatorio AIFIn/MarketLab tuttavia si evidenziavano anche altri aspetti critici per le banche del territorio come ricorda Spaccavento: “La riflessione sulla sostenibilità del modello di business delle banche commerciali non riguarda solo quelle locali e non è un tema certo nuovo. Le criticità relative alla redditività, al livello del patrimonio, alla qualità del credito e alla governance sono in alcuni casi comuni anche a operatori più grandi. Tuttavia nelle banche minori queste criticità possono assumere livelli maggiori e caratteristiche peculiari. La territorialità può portare dei vantaggi informativi e relazionali e quindi essere volano per sviluppare il business bancario che, tuttavia, ha natura fiduciaria. Dall’altro lato la stessa territorialità può comportare dei rischi se le relazioni allontanano la banca da una sana e prudente gestione e dall’etica negli affari. Purtroppo le ultime vicende ci dicono che non si è riusciti ad imparare dagli errori del passato e soprattutto si è fatto troppo poco per evitare di ripeterli.”

 

Le soluzioni alle crisi bancarie e le riforme

Le soluzioni adottate per superare le crisi bancarie sopracitate sono state varie e con costi diversi per lo Stato (e indirettamente per i cittadini), per il sistema bancario e per le singole banche acquirenti coinvolte in operazioni di salvataggio. Hanno tutelato almeno una parte dei risparmiatori/investitori, gestito i potenziali effetti (anche indiretti) sulla stabilità e limitato parzialmente il rischio reputazionale dell’intero sistema, in qualche modo aggirando quanto previsto dalla Bank Recovery and Resolution Directive (Brrd). A posteriori molti analisti concordano sulla necessità e utilità delle azioni intraprese per gestire queste situazioni di crisi.

“L’approccio risolutivo di crisi specifiche attraverso l’assorbimento delle banca “in crisi” da parte di una banca “sana”, con un ruolo proattivo dell’organo di vigilanza nel ricercare le possibili soluzioni,” spiega Spaccavento, “ha funzionato spesso in un passato “pre-crisi finanziarie” quando tuttavia la situazione di redditività del sistema bancario e il contesto e la velocità del mercato erano molto diversi. Le banche senza particolari pressioni di mercato avevano il tempo di “digerire” operazioni anche complesse. Nelle recenti operazioni di salvataggio invece spesso ci si è trovati a gestire operazioni che avrebbero potuto avere impatti significativi sulla competitività della banca acquirente, ancorchè di grandi dimensioni. Questo spiega perché alcune banche acquirenti nelle recenti operazioni hanno chiesto specifiche garanzie e condizioni per portare a termine tali operazioni. Evidentemente in altri casi, si sono sottostimati gli effetti negativi nella capacità di “assorbimento” gestionale e patrimoniale di tali operazioni, mettendo insieme più debolezze che punti di forza. In un contesto di mercato così dinamico, flessibilità e velocità sono per una banca caratteristiche importanti quanto la solidità.”

Nel frattempo il sistema bancario nel suo complesso ha iniziato un percorso “virtuoso” di risanamento: pulizia dei bilanci con la cessione di stock di NPL, de-risking, ricerca di efficienze anche attraverso la razionalizzazione delle reti di sportelli, ecc.

Ci sono state inoltre le riforme delle Banche Popolari (che alcune banche hanno osteggiato) e del Credito Cooperativo. Quest’ultima ribadisce il ruolo delle BCC come banche di territorio a mutualità prevalente. Le comunità restano dunque proprietarie delle loro banche cooperative mutualistiche. La riforma consente ad ogni BCC di restare autonoma in misura correlata al proprio grado di rischiosità ma in una logica di gruppo, rafforzando la solidità patrimoniale del sistema bancario cooperativo e assicurando una crescita in termini di efficienza. Per Spaccavento “i nuovi gruppi cooperativi possono rappresentare il futuro modello vincente della banca del territorio. La sfida sarà quella di massimizzare i vantaggi derivanti dall’essere parte di un gruppo bancario e conservare la “vicinanza” strategica di queste banche al territorio senza perderne l’identità.”

 

Le banche popolari minori: le sfide per il futuro

Le banche popolari minori indipendenti si trovano invece ad affrontare forse la sfida più difficile.

All’inizio del 2019 è stato pubblicato un report di KPMG intitolato “Banche Popolari – Possibili opzioni strategiche” nel quale si evidenziavano le crescenti difficoltà per gli intermediari finanziari di minori dimensioni nel generare soddisfacenti livelli di redditività.

Il rapporto proponeva anche tre possibili soluzioni per le banche popolari: 1) M&A – con la creazione di uno o più poli bancari che andranno ad operare sull'intero territorio nazionale; 2) Gruppo bancario con schema di garanzia; 3) Institutional Protection Scheme (IPS).

Nel 2018 il Governatore della Banca d’Italia nella Relazione annuale aveva sottolinenato come “le piccole Banche Popolari potrebbero beneficiare della realizzazione di un meccanismo di "protezione istituzionale" basato su accordi di sostegno reciproco in caso di difficoltà; sarebbe un passo verso forme più strette di integrazione”. “Al recupero di redditività possono contribuire l'esternalizzazione di alcune funzioni, consoni per la condivisione di processi produttivi e per l'acquisto di beni e servizi, accordi per la commercializzazione di prodotti finanziari e assicurativi, operazioni di concentrazione.” 

Evidentemente non ci sono ricette (modelli di business) già pronte da adottare e che vadano bene per tutte le tipologie di istituti.

"Personalmente credo ancora nel valore del concetto di Banca locale del Territorio. Queste banche  tuttavia non possono sottrarsi ai cambiamenti in atto nel settore e alle relative sfide. Alla “tradizione” dovrà ora realmente affiancarsi la capacità di innovazione" continua  Spaccavento. “Ritengo che la prossimità possa avere in futuro un suo “valore” intrinseco soprattutto quando il modello operativo di banca digitale diventerà predominante. La prossimità quindi può rappresentare per le banche locali ancora una leva competitiva importante se integrata in una strategia di sviluppo di territori e relazioni digitali. Tuttavia è necessario rivedere l'intero modello di business, avere una nuova visione e strategia di Banca del Territorio”.

"Sarebbe interessante" - continua Spaccavento "avere qualche risposta “pubblica” da parte del top management di queste banche, per “difendere”, credendoci ancora,  il valore del modello di Banca del Territorio e indicando gli elementi di differenziazione. Come sarebbe utile una loro dichiarazione agli stakeholders che spieghi le ragioni per le quali un caso simile a quelli che hanno colpito altre banche locali non possa ripetersi nei loro territori. Sarebbe, infine, auspicabile un impegno morale a rinforzare la corporate governance, ricordando che la storia dei precedenti casi è spesso stata legata a personalismi ed eccessiva concentrazione di potere. Infine sarebbe positivo rassicurare gli stakeholders di avere una chiara vision e strategia per il futuro e la capacità di realizzarla, anche rinunciando ad una parte della propria indipendenza e aprendosi alla collaborazione/coopetition."

Spaccavento evidenzia infatti che “da anni come AIFIn stimoliamo le banche minori ad essere più innovative e a trovare forme di collaborazione e coopetition. Qualche iniziativa è stata intrapresa dalle stesse Banche Popolari sul fronte degli NPL, ma molto di più può essere fatto in termini di collaborazione strategica, di business e sull’innovazione. La crescita dimensionale non è l’unica soluzione per recuperare redditività. Molto dipenderà dal modello di business che si intende scegliere e sviluppare. La cooperazione e la coopetition possono essere soluzioni strategiche efficaci per le banche locali, soprattutto in un modello di Open Banking”.

 

Un sistema senza le banche minori e territoriali?

C’è da chiedersi se il mercato abbia bisogno non solo di un settore bancario solido ma anche concorrenziale e soprattutto di una pluralità di intermediari bancari (per dimensione e tipologia) e quindi anche delle banche locali.

Per Spaccavento “fermo restando quanto detto precedentemente sulla sostenibilità dei modelli di business, che rappresentano una precondizione per stare sul mercato, le banche locali al netto di alcuni errori strategici hanno dimostrato in passato la loro importante funzione economica e sociale.”

“La relazione tra concentrazione del settore e concorrenza – continua Spaccavento –  non deve essere data per scontata. Anzi dall’evidenza empirica emerge che i sistemi bancari più efficienti sono anche quelli meno competitivi. Un’adeguata concorrenza nel mercato è spesso un’antecedente e una precondizione dell’innovazione che normalmente si manifesta in maggior valore offerto alla clientela (innovazione di offerta) e/o in una riduzione dei costi dei prodotti/servizi (innovazione di processo). Sul tema del consolidamento nel settore bancario si sta sviluppando negli Stati Uniti un filone di studi (“Ending too big to fail” - Federal Reserve Bank of Minneapolis) che evidenzia i rischi legati alla crescita dimensionale delle banche e ai costi sociali che le relative esternalità potrebbero generare in situazioni di crisi.”

Inoltre dichiara Spaccavento “non sottostimerei le esternalità negative che la "scomparsa" di una banca locale ha per certi territori, non solo per la sua fondamentale funzione di intermediario del credito, ma anche perché spesso rappresenta un elemento fondamentale per l’economia oltre che “istituzione” e punto di riferimento per lo stesso.”

La grandi banche comunque coprono tutti i mercati geografici e potrebbero crescere nei territori dove le banche locali in crisi stanno uscendo dal mercato.

I big del credito inoltre, dopo la fine del modello federale, stanno cercando, al netto della chiusura delle filiali, di recuperare i rapporti con gli stakeholders dei territori attraverso la costituzione di comitati con funzione consultiva per l’individuazione di interventi e progetti orientati a supportare e favorire la crescita e lo sviluppo sostenibile. È un modo di essere più vicini ai territori e sviluppare relazioni di valore.

"Bisognerà verificare l’efficacia di tali iniziative, il valore effettivamente creato per il territorio e soprattutto la percezione che avranno gli stakeholders locali" afferma Spaccavento. “Il modello di “community bank” a cui molte banche, di varia dimensione, ambiscono è un concetto strategico ancora poco definito. Inoltre altri player potrebbero beneficiare di un vantaggio competitivo legato alla prossimità: saranno quelli che vorranno e potranno strategicamente presidiare ancora il territorio, come per esempio Poste Italiane vista la capillarità della sua rete. Si tratta tuttavia per tutti i player bancari di qualsiasi dimensione di una sfida complessa che richiede un ripensamento del modo di fare "banca di prossimità" creando valore "condiviso"”.

Le banche del territorio infatti si sono anche sempre distinte per l'impegno sociale e per aver devoluto a cause di interesse collettivo un’aliquota dei propri profitti nel sostenere iniziative in ambito culturale, scientifico, ecc. 

“Un importante driver di differenziazione per la banca locale – dichiara Spaccavento – è sempre stato e dovrà essere “l’impegno sociale” che però non deve essere solo uno “slogan”. Il rischio, purtroppo già manifestatosi per molte delle banche territoriali in crisi, è che la sostenibilità possa essere percepita come una scelta opportunistica per operazioni di brand washing”.

 

La redazione di FinancialInnovation.it