Cosa cambia dopo la pandemia per i Liability Driven Investors (LDI): conseguenze e opportunità
Paolo Zanghieri, Macro & Market Research – Generali Insurance Asset Management
Per quanto riguarda il quadro economico, ci aspettiamo che la pandemia abbia conseguenze prolungate e negative sul tasso di crescita dell’economia, a causa dei forti cambiamenti sul mercato del lavoro, della prolungata stagnazione degli investimenti e di vari fattori (maggiore regolamentazione, minore globalizzazione) che influenzeranno negativamente la produttività. A questo si aggiunge una ripresa della domanda piuttosto debole, che manterrà bassa l’inflazione. Il forte supporto delle banche centrali comprimerà a lungo i tassi di interesse, condizione necessaria affinché il forte aumento del debito pubblico rimanga sostenibile.
Le ripercussioni sul mercato obbligazionario (cruciale per i LDI) saranno importanti. Per quanto riguarda i titoli di Stato, le agenzie di rating rimarranno ancora in attesa, ma ci aspettiamo comunque un’ondata di downgrades di dimensioni meno rilevanti rispetto al 2008-2011. Per l’obbligazionario privato, vediamo un ciclo di default meno pronunciato rispetto al 2008-2009, grazie al supporto delle banche centrali, ma potenzialmente più lungo, a causa della maggiore incidenza di obbligazioni che offrono limitata protezione agli investitori.
Oltre al quadro economico e finanziario, stanno cambiando profondamente anche i comportamenti. I LDI dovranno fare fronte alle sfide della digitalizzazione, di rendimenti strutturalmente più bassi e di una maggiore sensibilità alle tematiche ambientali e sociali. Da questo necessario adattamento delle scelte di investimento nasceranno sfide e opportunità: l’aumento della volatilità dei mercati renderà necessaria l’adozione di strategie di investimento innovative (almeno per il settore assicurativo) e sposterà l’offerta di prodotto verso quelli a minore assorbimento di capitale, che però richiedono più trasparenza verso gli assicurati.
Ci aspettiamo che la pandemia causerà cicatrici permanenti sul potenziale di crescita. Secondo alcune stime, il 40% delle perdite di posti di lavoro negli Stati Uniti potrebbe essere permanente, a causa del profondo cambiamento dei profili professionali richiesti. A questo si aggiungono il calo degli investimenti e della produttività, dovuto a bilanci societari deteriorati e alle incertezze sulla durata della pandemia. La riconfigurazione delle catene globali del valore, infine, con il passaggio da “just in time” a “just in case”, ridurrà inevitabilmente i vantaggi della specializzazione internazionale e il loro impatto sulla produttività. Inoltre, il recupero molto lento della domanda impedirà significative spinte inflazionistiche. Pertanto, occorreranno probabilmente anni, forse trimestri prima che le banche centrali possano dover iniziare a preoccuparsi di un aumento dell’inflazione. La banca centrale giapponese attende da quasi tre decenni.
La maggior parte delle economie avanzate aveva già elevati livelli di debito pubblico, pari a oppure superiore al 100% del PIL in 7 dei 19 membri dell’UEM nel 2019. La Commissione europea prevede che nel 2020 il rapporto debito/PIL complessivo dell’area dell’euro aumenterà di 17 punti, raggiungendo quasi il 103%, e potrebbe salire al di sopra del 160% nei paesi più indebitati. Anche con un rimbalzo relativamente rapido della crescita, se l’economia fosse abbastanza forte da consentire ai governi di limitare l’aumento del deficit già l’anno prossimo, il debito dell’area dell’euro scenderebbe di soli 4 punti percentuali (al 99%) nel 2021.
Se i tassi rimarranno bassi, alcuni paesi non avranno nemmeno bisogno di gestire un avanzo primario (cioè esclusi i pagamenti di interessi) per stabilizzare i rapporti di debito, per altri, anche un piccolo aumento dei tassi richiederà sforzi fiscali molto forti per compensarli. I mercati finanziari monitoreranno attentamente queste differenze nella sostenibilità del debito pubblico1.